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Sostenibilità, le insegne della Gdo fanno ma non comunicano

Sostenibilità e azioni virtuose: gli operatori della distribuzione moderna fanno ma non dicono. È questo il quadro che emerge dall’indagine condotta dall’Alta scuola impresa e società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Altis) di Milano e intitolata “Il ruolo della Gdo nello sviluppo sostenibile della filiera agroalimentare: analisi e prospettive”.

“La sostenibilità è fare e comunicare. C’è una discrepanza fra le azioni sostenibili intraprese dalle aziende e la loro valorizzazione attraverso iniziative di comunicazione ad hoc – si legge nel report – Le aziende della Gdo spesso sono sostenibili in alcune loro pratiche senza esserne consapevoli e perdono l’opportunità di comunicare un valore che generano. Sul piano della comunicazione istituzionale esistono quindi margini di miglioramento, che permetteranno alle aziende di essere percepite meglio dal cliente, che sempre più ha una coscienza orientata ai valori della sostenibilità ed è portato a preferire punti vendita e prodotti che rispondano a criteri sostenibili”.

Fra le 27 insegne analizzate dagli studiosi dell’ateneo milanese, ben il 67% comunica la sostenibilità innanzitutto tramite il sito internet.

Tuttavia, la comunicazione spesso privilegia alcune aree della sostenibilità, come i prodotti ecosostenibili o le iniziative rivolte alla comunità, a discapito di altre. Non tutte pubblicano poi il Bilancio di Sostenibilità (Conad sì), che è uno strumento di comunicazione più complesso e implica un impegno significativo in termini. Il trend è però in miglioramento visto che il numero delle aziende che lo redigono (si tratta di una scelta volontaria) è cresciuto del 23% nel biennio 2018-2019. “Volendo trarre una sintesi, l’analisi evidenzia due poli di sviluppo della sostenibilità – conclude lo studio dell’Università Cattolica – Il primo è composto da quelle aziende, il 33% del totale, che dimostrano di essere consapevoli del valore della sostenibilità quale driver di crescita e di comunicazione efficace. L’altro polo è composto da quelle aziende, il 34% del totale, che intendono la sostenibilità in modo tradizionale, poco orientato alla comunicazione e unilaterale nel rapporto con gli stakeholder. Il restante terzo si trova fra questi due poli”.